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Paola De Simone

Uno stile di raffinata eleganza e plasticità espressiva, temperamento vivacissimo, una gamma di colori immensa, una disinvoltura tecnica che neanche fa avvertire le asperità della scrittura ed un incastro pianistico assolutamente perfetto. Al punto da sembrare un unico strumento.

Dunque serata magica al Teatro San Carlo con il sinfonico in data unica, nel giorno della visita del ministro Dario Franceschini, affidato all'Orchestra della Fondazione diretta da Patrick Fournillier e, in primo piano, alle due famosissime sorelle del pianoforte, Katia e Marielle Labèque, protagoniste speciali chiamate a dar forma ad una delle più belle proposte in cartellone della concertistica di quest'anno: il Concerto in re minore per due pianoforti di Francis Poulenc. Pagina degli anni Trenta del Novecento francese, ironica e dolcissima, ora estrosa, ora delicatamente malinconica e sognante, arguta nella citazione alterata di alcuni celebri modelli lontani o coevi (il K. 466 di Mozart in primis e i due Concerti di Ravel) quanto dagli umori continuamente mutevoli. Pertanto dall'esecuzione non semplice ma agevole poiché scritta e orchestrata a meraviglia. L'attacco mozzafiato e un po' selvatico sferrato dalle scattanti dita di Katia, vestita rosso fuoco e in simultanea raddoppiata dalla sorella Marielle, in viola, ha dato il via e tenuto il comando per un intero caleidoscopio di sfumature ed emozioni, fra ritmi taglienti e motivi sinuosi, entro una grande intelligenza interpretativa di forma ed agogica.

Fin qui ascoltate in recital o in altre occasioni che andavano per lo più a premiarne il lato istrionico e quasi circense, tra funambolismi e grandi gesti ad esempio sfoderati anni fa a Ravello con un originale Carnevale degli animali di Saint-Saëns, le due sorelle francesi hanno invece stavolta portato in luce una sublimata maturità d'approccio in grado di ribaltare il piano del mero spettacolo a vantaggio di esiti di genialità sottile, apprezzabile in tutti i parametri in gioco: dall'abilità digitale al controllo delle tinte, dalla scelta dei tempi alle rifiniture e al senso impresso tanto a brevi incisi quanto ad interi archi dinamici, così come al serrato dialogo concertante con le diverse parti dell'orchestra o con il "Tutti". In verità parimenti travolgente era stato il successo registrato sempre al San Carlo, ma senza Orchestra, nel lontano ottobre 1993, laddove notammo, così come ora, una Katia, più minuta d'aspetto ma di due anni più grande, tendente a sfoderare uno stile estroverso ed estroso, spinta per lo più in tessiture alte o melodiche e dunque al primo pianoforte, con esiti brillanti, risoluti, spigliati; Marielle, più riservata, dal pianismo più corposo e pacato, attento alla sostanza del duo e, non a caso, al secondo pianoforte. Probabilmente non in molti conoscevano il "doppio" di Poulenc - vedi l'imbarazzo di qualche istante di attesa prima degli scroscianti applausi scoppiati unanimi al termine della prova - ma in nessuno c'è stato alcun dubbio sulla speciale portata dell'esecuzione. Così come confermato dal tripudio di bis e di applausi divisi fra un bellissimo Quarto Movimento per due pianoforti del minimalista Philip Glass (che qui si riporta riproducendo il video dal link https://www.youtube.com/watch?v=ccFud4pSnQE), seguito da quella salottiera Petite Polka a quattro mani che offrirono sempre

come omaggio fuori programma anche nel recital del '93. Polka scritta da Aldolfo Berio, il nonno di Luciano, esponente della Scuola di Darmstadt, compositore di punta del secondo Novecento italiano e loro carissimo amico, autore prediletto nonché, per loro, guida assai preziosa nella scoperta del repertorio contemporaneo.

Infine ancora una gemma dal repertorio francese, ma di matrice brasiliana con screziature jazz, quale l'entusiasmante estratto dalla Suite Scaramouche (III: Brazileira) di uno dei più interessanti esponenti, proprio assieme a Francis Poulenc, del cosiddetto "Gruppo dei Sei": Darius Milhaud.

Quanto alla seconda parte, con la giovanile Sinfonia n. 2 “Roma” di un Bizet fresco vincitore del Prix de Rome, banale per idee, armonizzazioni e con quel suo pericoloso attacco affidato in apertura alla sezione dei corni, diciamo che se ne poteva pure fare a meno.

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