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  • Paola De Simone

Erano anni che Napoli non vedeva tanti riflettori puntati sull'inaugurazione di una stagione lirica. Sarà stato, ovviamente, per l'orgoglio e l'onore della presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella che, nell'occasione, ha indicato nella Cultura «il cuore delle relazioni fra paesi dai confini distanti» nonché un veicolo importante per «promuovere la pace, per sconfiggere la paura». Al suo fianco, il ministro del Mibact, Dario Franceschini, che si è detto «certo delle potenzialità della Campania e in primo luogo della città di Napoli», il Presidente della Corte Costituzionale Alessandro Criscuolo, il sindaco-presidente del Cdi sancarliano, Luigi de Magistris, e il Governatore Vincenzo De Luca, entrambi promotori della delicata congiuntura di svolta e rilancio del territorio campano in questi giorni sul tavolo nazionale così come appunto confermato dall'attenzione e dalle dichiarazioni dei massimi vertici istituzionali. Non a caso, erano tutti in prima linea in quel prezioso palco reale che fu di Carlo III, Ferdinando IV con Maria Carolina e delle teste coronate a seguire (sotto, nella foto di Francesco Squeglia).

Un San Carlo in primo piano, d'altra parte, anche per le necessarie misure antiterroristiche conseguenti ai drammatici eventi di Parigi che hanno visto blindare il Teatro e controllare singolarmente con i metal detector centinaia e centinaia di spettatori lungo lo scalone d'ingresso. A ciò si aggiungano l'importanza di due dirette radiotelevisive (su Rai 5 e Radio 3), l'esercito di giornalisti e fotografi chiamati a raccolta, l'Inno nazionale di rito, diverse presenze politiche "cardine" nelle attuali sorti del Lirico napoletano. Tra gli altri ospiti, infatti, l'ex direttore generale dello spettacolo dal vivo del Mibact nonché ex Commissario del San Carlo, Salvo Nastasi, attualmente Commissario straordinario per Bagnoli nonché vice segretario generale di Palazzo Chigi, al fianco della moglie Giulia Minoli. Quindi, Gianni Letta (nel primo riquadro sottostante), il sindaco di Firenze Dario Nardella e consorte, i candidati alle primarie Gianni Lettieri, Antonio Bassolino (nel secondo riquadro), oltre al giornalista Bruno Vespa, all'ex presidente di Confindustria Antonio D'Amato, Patrizia Boldoni, Riccardo Dalisi, Pino Ferrazza (ex direttore dell'Eti), al procuratore aggiunto Giovanni Melillo, al prefetto di Napoli Gerarda Pantalone. E, naturalmente, focus sulle attese del nuovo allestimento realizzato da un mago della scena surreale, qual è Daniele Finzi Pasca unitamente alla sua Compagnia, quanto per la direzione dal podio di Zubin Mehta, fra i massimi direttori del secolo Ventesimo e dei nostri giorni, auspicabilmente figura di riferimento stabile o semistabile per le prossime prospettive musicali del tempio lirico-sinfonico partenopeo.

Una cornice, in sostanza, che ben inquadra il salto in avanti che la seconda sovrintendenza di Rosanna Purchia sta sostenendo entro una promozione quantitativa e di target internazionale per entrare in asse fra le maggiori Fondazioni liriche d'Italia, già soltanto per aver sfoderato quest'anno un altisonante titolo per la stagione, "The Golden Stage 20XV/20XVI", un'innegabile crescita in termini di proposte in programma e la comparsa, per la prima volta con l'inaugurale Carmen, di doppi sovratitoli nel sottarco scenico che al consueto italiano in traduzione dal libretto hanno abbinato in parallelo un testo in lingua inglese.

Detto ciò passiamo allo spettacolo, partendo dai dissensi piovuti al termine per lo più dal loggione e dalle file in alto sulla testa del regista Finzi Pasca. Che la nuova Carmen del fantasista di Lugano fosse altra cosa, rispetto alla tradizione che il mito lussureggiante della sigaraia seduttrice ha dalla sua prima rappresentazione parigina sin qui tracciato nell'immaginario collettivo, era cosa intuibile e già ben nota: una lettura stilizzata e moderna, affidata all'effetto luce, in bilico fra realtà e sogno. Pertanto, intenta a cogliere più che a rappresentare l'essenza dei personaggi e della stessa azione in scena, svelandone la fragilità e l'universalità al contempo, con soluzioni minimal di massimo impatto visivo grazie alle visioni sceniche di Hugo Gargiulo unitamente alle invenzioni luministiche di Finzi Pasca e Alexis Bowles. Splendida nell'Atto I la piazza di Siviglia appena evocata e intersecata alle tradizioni di tanti paesi del Sud, Piedigrotta compresa, attraverso quelle luminarie ad arco dal significato ambivalente, ossia di porte della città quanto di festa, accanto a un'interessante gestione delle masse ora centripeta, ora in linea estraniata, giudiziale e distante. Il tutto color albicocca. Poi l'Atto II che, giocato sul bianco e su strutture a metà strada fra i merletti spagnoli e le architetture moresche, mirava dritto all'antinomia fra libertà e legacci delle passione. Niente rocce e luoghi pittoreschi o selvaggi nel successivo Atto notturno, ma solo una grande luna di lampadine sul blu fondente dello sfondo.

Quindi, lo scambio di merce fra i contrabbandieri e quel piccolo capolavoro nel capolavoro che è l'aria di Micaëla "Je dis que rienne m'épouvante" (sotto, nella foto di Luciano Romano), l'unico momento sonoramente e meritatamente applaudito a scena aperta.

Infine la parata colorata e spettacolare che porta in trionfo il torero Escamillo per poi chiudere sull'efferato femminicidio passionale. Giusto un paio di brutti difetti, a nostro avviso: l'eccessiva insistenza sulle barre di luce quale medium di continua censura agli istinti libertari di Carmen e gli scarsi effetti del lavoro registico sulla sensualità della protagonista. A meritare i booh indirizzati a Finzi Pasca (e qui non si fanno paragoni con i mancati dissensi del pubbico napoletano per il malgusto della Carmen di Corsicato, o con le ignoranti e volgari trasgressioni di Michieletto per l'Entführung) sarebbe stata piuttosto il mezzosoprano Marìa José Montiel che, per quanto alla sua centesima interpretazione nel ruolo del titolo, a dispetto di un volume notevole e di una spiccata cura nei colori, ha soprattutto nell'atto d'apertura accusato una fastidiosa ovattatura del timbro, vistosi ritardi metrici, acuti troppo spesso lanciati a caso e una rigidità d'intonazione, in special modo in zona grave, che andava a fare il paio con un impaccio nei movimenti e negli accenni coreutici certamente poco ideali per sedurre a colpo ogni uomo incontrato. Viceversa, balzata al primo posto nella classifica delle voci è stata Eleonora Buratto, soprano dalla voce d'incanto per Micaëla: intensa, intonatissima, tecnicamente salda, legato spettacolare, acuti dolci e centrati. Interessante il colore di entrambe le voci maschili Brian Jagde per Don José e Kostas Smoriginas per Escamillo), anche quelle però da limare qua e là, brave Frasquita e Mercédès rispettivamente affidate a Sandra Pastrana e alla versatile Giuseppina Bridelli (recente interprete della monteverdiana Poppea), buona la prova di Fabio Previati (Le Dancaïre), Roberto Accurso (Moralés) e degli altri comprimari. Assai pregevoli, nel complesso, gli interventi del Coro di Voci bianche e del Coro misto della Fondazione, rispettivamente preparati da Stefania Rinaldi e da Marco Faelli, delle ballerine della Compagnia di Balletto del Teatro e dei mimi della Compagnia Finzi Pasca, diretti da Maria Bonzanigo. Grande eleganza e scelta rara di tempi e dinamiche, infine, dal magnifico Mehta, alla testa di un'Orchestra ben attenta e sollecita (sotto, nella foto di Luciano Romano, il momento dell'Inno Nazionale).

A questo punto ci si domanda se nel futuro il regista Daniele Finzi Pasca, dinanzi a quegli isolati ma chiari dissensi arrivatigli dinanzi al Presidente della Repubblica, abbia ancora voglia di portare altri progetti sul palcoscenico di Napoli. Per ora sappiamo, come da lui stesso confessato alla Quinta giusta fra un atto e l'altro dell'Opéra-comique di Bizet, che gli piacerebbe lavorare a un titolo del Barocco, a un Mozart o, in via diametralmente opposta, a uno dei due capolavori dell'Espressionismo musical-teatrale tedesco firmati Alban Berg. O, addirittura, realizzare una propria visione drammaturgica sulle musiche degli autori del nostro tempo che in questi giorni ama e ascolta di più: Arvo Pärt e Henryk Górecki.

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