Un pianismo sorprendente, di sensibilità rara quanto tecnicamente rigorosissimo, ben saldo ad ogni nota anche nelle volate più vertiginose, consapevole di frasi, ritmi, forme e dinamiche, forte di un tocco e di una lucentezza digitale dalla nobiltà alta ed autentica. Senza ombra di dubbio, saltando a piè pari il modello di tanti interpreti illustri, di recenti funamboli agguerriti o di pompati fenomeni mediatici, un pianismo riconducibile addirittura allo stile del grande Arthur Rubinstein.
Il miracolo è che, tutto ciò, lo abbiamo ascoltato da un talento di appena undici anni, primo protagonista così giovane accanto all'Orchestra della Fondazione inserito direttamente nella locandina della Stagione Sinfonica e nella Storia stessa del Teatro San Carlo, guidato dalla bacchetta del sempre straordinario Daniel Oren (nella foto in alto), tra l'altro, non in un Mozart come ci si sarebbe aspettati, bensì in una partitura chiave della letteratura musicale romantica che esige maturità di mano e, soprattutto, di pensiero: il Concerto n. 1 in mi minore per pianoforte e orchestra, op. 11, di Fryderyk Chopin. Tutto a memoria. Quali gli esiti riscontrati, bis compreso (Franz Liszt, Parafrasi da concerto sul Rigoletto di Verdi), all'ascolto?
L'israeliano Yoav Levanon (nella foto accanto), questo il suo nome, rappresenta a nostro avviso una grande lezione e al contempo il Futuro della musica "colta" a fronte e a contrasto di un'era segnata dal drammatico declino della sensibilità e della fiducia nelle diverse espressioni dell'Arte, quanto per la cultura in genere. Lo ascoltassero i ministri dell'Economia e della Cultura, i direttori generali del settore, sovrintendenti, amministratori e direttori artistici, spalle d'orchestra, solisti, piccoli e grandi interpreti. Yoav è un dono prezioso non solo perché incanta e commuove ma, innanzitutto, convince per la lucidità virtuosa e l'infinita dolcezza di tutto quel che suona sorprendendo, ferme restando la semplicità e la purezza della sua età, per il senso assoluto della disciplina, per la personalità spiccata evidente nella risolutezza delle idee e dei suoi movimenti, per la capacità di gestire la tensione del palcoscenico, pur evidente in tanti piccoli gesti come l'aggiustarsi più volte il papillon o il reggersi ai lati del panchetto prima di cominciare, l'avvicinare le mani alla tastiera in attesa del momento giusto per il suo attacco, il lieve tremore di qualche prima nota o i tanti inchini liberatori alla fine.
Quando entra in palcoscenico, tra le fila dei violini seguito da Oren, neanche si vede. Poi spunta al proscenio accanto al pianoforte, tanto più grande di lui, e s'inchina, intenerendo tutti con quel suo caschetto biondo che ne accompagna i misuratissimi movimenti, anche quando si troverà dinanzi ai passaggi pianistici più complessi. Il respiro metrico con cui Oren ha staccato l'Allegro maestoso iniziale, in verità, già lasciava intuire che non sarebbe stata un'esecuzione di mero sfoggio meccanico di un pur brillante enfant prodige, ma un'interpretazione pensata e matura anche sul fronte stilistico ed espressivo. E così è stato: suono perfetto per Chopin, vivo contrasto fra i temi (risoluto il primo, intensamente cantabile il secondo), chiarezza, piglio ritmico e affondo pieno entro la raffica di note sciolte fra gruppi irregolari anche in ottava, volatine, scale, scansioni puntate, ampi arpeggi, trilli semplici e doppi, un'intera gamma agogica a fuoco tra slanci appassionati o perlati in "leggierissimo", in stretto, in agitato. Non facile tra l'altro, ma regolato ad arte dall'esperto Oren, il delicato rapporto con l'Orchestra di cui si cita almeno il bellissimo dialogo con il primo fagotto (Mauro Russo) nel Larghetto centrale e il brillante Rondò finale con quello scherzando scolpito ad arte sugli archi nel gioco serrato fra staccato, legato e accento sulla seconda unità metrica. Non meno impressionante il bis lisztiano nel quale, accanto alla bravura con cui il giovanissimo interprete ha sfidato ogni forma di asperità tecnica, svettava l'esatta tornitura del canto dal quartetto "Bella figlia dell'amore" del Rigoletto verdiano. Il che vuol dire che Yoav, oltre a suonare, ha già ascoltato tanto, probabilmente mentore Oren, così come si ipotizza guardandolo appoggiato alla balaustra della barcaccia di seconda fila da dove, una volta finita la sua strepitosa performance, non ha perso neppure una nota di quel che saliva fra podio ed Orchestra.
Dalla seconda metà della serata, con il Beethoven della Terza Sinfonia, ulteriori, altri successi: quello di Oren, letteralmente osannato per un'"Eroica" che resterà a lungo nei nostri cuori grazie alla forza della tornitura drammatica, al saldo controllo dei piani sonori, all'energia delle curve dinamiche e alla vivacità dei colori. Infine, una lode speciale per la bellezza del timbro e la qualità dell'esecuzione spetta al nuovo primo oboe entrato stabilmente a far parte, in alternanza con il bravo Domenico Sarcina e tramite il concorso di qualche settimana fa, dell'organico del Teatro San Carlo.
È Hernan Garreffa (nella foto sotto), argentino, figlio d'arte (il padre è un rinomato oboe solista) nato nel marzo 1973 a Santa Fe. Musicalmente formatosi nel suo Paese, si è poi specializzato con Joel Timm (Los Angeles Orchestra e Professore della University of Southern California), Elaine Douvas e John Ferrillo (Metropolitan Opera, New York), Philippe Magnan (Quebec Symphony Orchestra), Alex Klein (Chicago Philarmonic), Laszlo Hadady Ensemble Intercontemporain di Parigi, Francia) e, dal 2003, con Hansjorg Schellenberger, primo oboe dei Berliner Philharmoniker.
Dal 1992 al 2002 è stato Primo oboe dell’orchestra Sinfonica di Santa Fe, dal 1997 al 2002 dell’Orchestra Sinfonica di Entre Rios e, nel corso del 2000, è stato Primo oboe dell’Orchestra Filarmonica del Teatro Colòn di Buenos Aires. Dal 2002 al 2008 diventa prima parte dell’Orchestra Sinfonica di Milano "GiuseppeVerdi" diretta da Riccardo Chailly, inoltre collaborando con le Orchestre Toscanini sotto la direzione di Maazel, del "Carlo Felice" di Genova e del "Verdi" di Salerno sotto la guida di Daniel Oren. In parallelo, ha svolto attività di docente presso la Scuola di Musica dell’Università di Entre Rios e dell’Università di Rosario. È, infine, ospite regolare sia in qualità di solista che in formazioni da camera di importanti istituzioni concertistiche in Argentina, Messico, Canada, Stati Uniti Francia e Italia. Molteplici le incisioni (per Decca, Deutsche Grammophon, EMI) e i riconoscimenti, fra i quali il primo Premio al Concorso "Mozarteum" di Santa Fe - Filiale di Salisburgo (1990), la Menzione speciale alla Competizione Internazionale di musica da camera ad Arles (Francia, 1999), la vittoria al TOYP 2006 (Top Young Outstanding Person 2006).
Non è infatti un caso che il bis richiesto a gran voce dal pubblico ed eccezionalmente concesso da Oren sia partito proprio da quella battuta numero 348 della settima variazione Poco Andante "con espressione" dal Finale dell'Eroica affidata al bellissimo corale dei legni, staccato in levare dal primo oboe più primo clarinetto (Sisto Lino D'Onofrio) e primo fagotto (Mauro Russo).
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