Nel maggio 2010 andava in scena con buon successo, in una delle stanze del Palazzo Reale di Napoli e con il pubblico quasi parte dello spettacolo ai tavolini presi in prestito dal Cafè Gambrinus, l’Intrattenimento a casa Di Giacomo con la Serva padrona di Pergolesi (in apertura, nella foto di Francesco Squeglia), riformulazione firmata dal regista napoletano (classe 1979) Mariano Bauduin del celeberrimo Intermezzo comico in due parti su testo di Gennarantonio Federico eccezionalmente rappresentato dinanzi alle teste coronate del Regno di Napoli nell’agosto del 1733 sul palcoscenico del San Bartolomeo, deputato al genere serio, perché fra gli atti dramma per musica Il prigionier superbo, sempre del Pergolesi. Dunque, pièce alle radici del buffo di Scuola napoletana accanto alla tradizione della “commedeja pe mmuseca” oltre al saldo retaggio latino e dell’Arte e, oggi, gioco teatral-musicale sapidissimo reso a noi più vicino nel tempo. Un gioco che, con nuovi protagonisti e diversi ritocchi, tornerà stasera, lunedì 16 novembre (ore 21, con ingresso gratuito) al Teatro Mediterraneo della Mostra d'Oltremare (nella foto centrale), nell’allestimento del Teatro di San Carlo e con la revisione della partitura a cura di Ivano Caiazza in occasione dell’appuntamento conclusivo delle celebrazioni promosse dalla Regione per il quinto anniversario del riconoscimento Unesco della Dieta Mediterranea. Sul podio del Quartetto del Lirico napoletano (Cecilia Laca, Luigi Buonomo, Antonio Bossone, Luca Signorini), più contrabbasso, ci sarà Maurizio Agostini, Roberto Moreschi Maestro al cembalo mentre, i costumi, restano quelli deliziosi di Marianna Carbone. Nel cast: il soprano Minni Diodati nel ruolo dell’irriverente quanto volitiva servetta Serpina, l’eccellente basso-baritono Filippo Morace nei panni del vecchio raggirato Uberto e Virgilio Brancaccio nella parte versatile del servitore-mimo Vespone.
«Quando pensai a questa Serva padrona – spiega Mariano Bauduin (nella foto sotto) in merito al suo remix registico – pensai a Salvatore Di Giacomo, poiché egli rappresentava il punto più alto in cui la cultura napoletana, quella che va dal ’700 fino al ’900, era riuscita ad assorbire tradizione e innovazione, cultura alta e cultura bassa. Egli si definiva figlio del ’700, e come tale rielaborava tutto in forma poetica. Ed emblematica è, nella sua produzione poetica, l’elemento del cibo che, con la raffinatezza tipica dei grandi poeti, idealizza in ogni forma e in continue invenzioni, affrontando temi leggeri e legati al mondo popolare, come la cucina e tutte le sue possibili varianti». Un esempio? «Donn’ Amalia ’a Speranzella (antica strada interna ai Quartieri Spagnoli che corre in parallelo all’affollata via Toledo, ndr) | Quanno frie paste crisciute, | mena ll’oro ’int’’a tiella, | donn’ Amalia ’a Speranzella […]. È quindi chiaro – prosegue il giovane regista discepolo della scuola desimoniana – come la nostra produzione artistica si sia spesso servita di argomentazioni gastronomiche per raccontare un mondo, un’epoca, una gente legata alla propria cultura in tutte le sue possibili varianti e applicazioni. Lo stesso è accaduto per il teatro in musica, dove spessissimo i soggetti dei libretti erano sviluppati all’interno di osterie (vedi L’osteria di Marechiaro di Giovanni Paisiello) dove in concertati, scene e arie i temi erano legati al cibo e all’arte del cucinare.
Nel caso della Serva padrona, che ha rappresentato per la nostra cultura musicale e poetica il punto di partenza, ma anche lo spartiacque per una cultura che viveva in equilibrio perenne tra colto e popolare, ho creduto che sarebbe stato pertinente riassumere tutti questi elementi all’interno della drammaturgia dello spettacolo che potrebbe tranquillamente considerarsi un vero e proprio “intrattenimento” musicale, come quelli che si organizzavano nelle case di Salvatore Di Giacomo, di Ferdinando Russo, di Enrico De Leva, di Mario Costa, e dove durante straordinarie esecuzioni musicali si consumavano altrettante straordinarie prelibatezze proprie della nostra cultura culinaria». Quanto all’occasione celebrativa, aggiunge: «In un momento così importante come è stato l’EXPO di Milano 2015, era necessario confermare ancora una volta la nostra altissima identità culturale, anche in rapporto a tutte quelle dei paesi partecipanti. In un’epoca di globalizzazione, ricostruire le identità nella loro completezza è un grosso impegno che ci avvicina e ci spinge alla collaborazione collettiva, e quindi ben venga cultura culinaria, cultura musicale, cultura storica e cultura scientifica purché esse vengano accomunate dalla medesima volontà di raccontare: raccontare una terra, raccontare una nazione, raccontare un popolo che ha scritto nel proprio DNA secoli e secoli di storia umana e civile».
Alle spalle della riformulazione di Mariano Bauduin, non a caso, l’idea d’intersercare oltre il tempo personaggi ed istanze poetico-musicali, storia vera, fantasia e leggende della Napoli fra Sette e primo Novecento ma, anche, l’idea di abbinarvi un’arguta novella ispirata alla “Serva” in stile del Di Giacomo che, in maniera non troppo dissimile, aveva perso la testa per Elisa, una giovane di umili origini poi divenuta sua moglie. Novella che, tra una sfogliatella riccia (la fantasia capricciosa dei napoletani, “co’ tutti i suoi riccioli d’oro”) e una frolla (la Storia attuale, “che tenta di demolire la leggenda la fantasia, l’inventiva del popolo”) più la consapevolezza di una Napoli “sempre più lontana dai suoni di Pergolesi, dai tumulti di Paisiello, dai languori di Bellini e dai divertenti maccheroni di Rossini”, tira in ballo accanto al poeta di “Era di maggio” (a sua volta metafora lampante del Maestro De Simone) Benedetto Croce e persino Stravinskij nel suo inglese artigianale intorno ad un Pergolesi comun denominatore fra il Bibliotecario del “San Pietro a Majella”, lo scopritore del manoscritto Casamarciano con relativi materiali pergolesiani utilizzati da Diaghilev e appunto dal compositore russo nel “Pulcinella”. Il tutto, nel salotto liberty del Di Giacomo fra delizie del palato e canzoni su un pianoforte del 1915. «Sarà una serata immaginaria, una festa da salotto borghese e tutto sommato una sfida – aveva concluso il regista alla vigilia dell’esordio del suo spettacolo al Palazzo Reale – per ritrovare, attraverso il brio di fronzoli e gonnelle delle cantanti da Salone Margherita, un Settecento teatrale vivo, più che musicologico o da museo».
L’accesso all’evento avverrà esclusivamente con biglietto d’ingresso gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili, I biglietti gratuiti per l’evento si possono richiedere compilando il form richiesto sul sito della “dieta mediterranea” O direttamente all’indirizzo: http://dietamediterranea.regione.campania.it/?tribe_events=la-serva-padrona-di-g-b-pergolesi
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