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Parole scandite, sussurrate, modulate come suoni per ripercorrere e raccontare le tracce vere di un’esistenza controversa, sfogliandone le storie, le lettere, i documenti, le partiture. E dunque rileggendone, in alternanza ma pur sempre entro il filo ideale di una narrazione continua, la sua musica: le note, i ritmi strappati, gli accenti dolenti o tesi all’acuto per restituire la voce e le intenzioni senz’altro più autentiche di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič, compositore di prima linea del pieno Novecento, “Artista del popolo” dinanzi all’ufficialità sovietica quanto temuto nemico controllato a colpi di censura e scomuniche, fissandone l’immagine in bilico fra passato, presente e futuro di un pentagramma herschianamente inteso nel solco del pensiero agostiniano quale “miniatura dell’eternità”.
Questo, in sintesi, il ritratto mirabile quanto efficacissimo restituito al pubblico dell’Associazione Alessandro Scarlatti attraverso l’originale omaggio al compositore sovietico ideato e realizzato sul palcoscenico di Castel Sant’Elmo dal critico nonché scrittore Sandro Cappelletto al fianco del Quartetto d’archi napoletano Savinio e del pianista Marco Scolastra (nella foto sopra): un ritratto fra parole e musica, di rara verità e suggestione lungo una scia non dissimile da quella già rodata dallo stesso Cappelletto e dal Quartetto Savinio con la “Notte delle dissonanze”, anni fa, con dedica a Mozart e riproposta ovunque con meritato successo. Pertanto, non un semplice concerto ma una sinergica osmosi in grado di intersecare con raffinata sapienza significati, significanti e due numeri d’opera da camera con pianoforte per nulla facili, quanto estremamente significativi per l’obiettivo in campo, tratti dal catalogo dell’autore della scabrosa “Lady Macbeth” novecentesca. Ossia, il Trio n. 2 in mi minore op. 67 per pianoforte, violino e violoncello, scritto nel 1944, dunque in una fase difficilissima per la per storia sovietica e con il fine dichiarato quanto ambiguo di far conoscere ai giovani «le correnti di moda nella musica contemporanea europea». Singolare anche la dedica, all’amico Ivan Sollertinskij scomparso prematuramente per infarto, compagno dei tempi del Conservatorio e, soprattutto, fra i pochi ad essere rimasto vicino al compositore dopo la condanna staliniana della sua musica. A seguire, il premiato Quintetto op. 57, una delle opere più significative dei nuovi ideali di chiarezza e di semplicità dopo lo sperimentalismo, duramente attaccato dal regime, degli anni giovanili dell’autore. Ebbene, per entrambi i lavori, raro si è rivelato il lavoro di approfondimento formale ed espressivo messo a punto in misura paritetica da tutti i musicisti in gioco, sia entro il ruolo specifico del singolo che ai fini dell’economia dell’insieme. Preziosi infatti gli esiti in termini di equilibrio fra le parti e, innanzitutto, d’intonazione, delle scelte metriche come delle intenzioni stilistiche, di tornitura del colore, di pregnanza degli accenti ritmici, di grande coerenza e plasticità delle curve dinamiche.
Una bella occasione, tra l’altro, per testare quanto sia immensamente cresciuto uno dei pochi, veri quartetti italiani d'ultima generazione, organico che la città di Napoli ha avuto l’orgoglio di formare e tenere a battesimo: il Quartetto Savinio (nell'ordine, nella foto sotto, viola, violoncello, primo e secondo violino), guidato da Alberto Maria Ruta, primo violino dall’intonazione infallibile quanto dalla solidità tecnica e interpretativa assoluta. Accanto, l’ottima musicista Rossella Bertucci al violino secondo, Francesco Solombrino alla viola (splendido lo spiccato dialogo fra lui e l’affilato primo violino nello Scherzo del Quintetto, replicato al termine come bis) e l’efficace violoncellista Lorenzo Ceriani cui è toccato l’arduo compito di staccare il programma sugli acutissimi armonici che caratterizzano la spettrale apertura del Trio op. 67.
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Il segreto del Savinio? Senz’altro una lunga e scrupolosa strada percorsa insieme sin dalla fondazione, avvenuta quindici anni fa. Una strada fatta di studio puntuale e serrato, di condivisione d’intenti, di analisi attente, di consapevolezza stilistica ed espressiva, così come svela chiaramente il respiro unico del gruppo. Molteplici non a caso, sin dal debutto avvenuto nell’anno 2000 al Teatro Diana di Napoli, i riconoscimenti nelle principali competizioni nazionali ed internazionali, le regolari presenze presso le istituzioni concertistiche italiane di maggior prestigio e per importanti vetrine internazionali, oltre alle numerose collaborazioni con artisti di primo piano. E se il loro Šostakovič, oggi, risulta così saldo e speciale è anche perché, fra le incisioni del Savinio, un posto importante spetta al recente cd prodotto dall'illustre etichetta DECCA che, unendo sotto il titolo unico di “PianoQuintets” (pianista Matteo Fossi) il bel Quintetto op. 81 di Dvořák e l’op. 57 di Šostakovič, ha conquistato in recensione ben 5 Stelle nelle hit targate Classic Voice e Amadeus.
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