Intelligenza della forma, spinta motrice nelle dinamiche ritmiche, piena valorizzazione delle armonie e dei profili melodici.
Merita attenzione il pianismo, originale quanto italianissimo, di Maria Perrotta, protagonista del secondo capitolo concertistico in locandina nell’Auditorium di Castel Sant’Elmo per l’Associazione Alessandro Scarlatti di Napoli. Di fronte alle raffiche di note e alle clamorose esibizioni istrioniche cavalcate da tanti altri suoi colleghi in linea con l’immaginario pianistico di consumo e soprattutto con gli spesso fumosi rimbalzi mediatici, la Perrotta ritaglia uno stile ed una tecnica pianistica a sé. Una modalità d'escuzione finalmente tutta personale che, magari, per l’eccessiva estensione di una scelta metrica (nell’Andante sostenuto schubertiano) su tante perfettamente centrate può pure lasciare perplessi ma, nella totalità, colpisce per la tornitura dei dettagli, per la vitalità degli incisi al pari dell’autenticità del fraseggio, per una sostanza di riconoscibile, sana tempra italiana. Una formula d’approccio subito ben chiara dalle prime battute della Sonata in sol maggiore K. 283 di Mozart attraverso la chiarezza degli intenti analitici, la centralità propulsiva dei rilievi ritmici e la semplicità dei temi come dei colori. Ancora più interessante l’affondo interpretativo messo a segno con le successive quattro Ballate op. 10 di Brahms: quadrifoglio d'opere bellissimo quanto non frequente nelle sale da concerto, generalmente restituito con accenti più tenebrosi del dovuto. Ampio il respiro, invece, posto alla base dell’intera architettura da Maria Perrotta, ben conciliando l’assetto formale ternario e la tempra della scrittura brahmsiana con l’afflato e la sostanza dell’ispirazione poetica legata ad una ballata popolare scozzese tratta da una raccolta di Herder, "Edward", fra toni da leggenda e malinconici ripiegamenti emotivi, archi di tensione e momenti di rassegnata meditazione. Infine la monumentale Sonata in si bemolle maggiore D. 960 di Schubert, sospesa tra visione trasfigurata e sogno, composta a soli due mesi dalla morte prematura dell'autore e a coronamento di una triade a sua volta al vertice di un itinerario che al genere avrebbe lasciato una ventina fra esempi e frammenti. Dell’ampio tessuto, la Perrotta ha posto in luce con naturalezza le peculiarità ora dolcemente discorsive, ora spiccatamente cantabili, i colori avveniristici e, soprattutto, l’elasticità delle spinte ritmiche attraverso le quali il Rondò finale si riaggancia idealmente agli accenti di tarantella posti in chiusura alla prima (D. 958) delle ultime tre Sonate composte da Schubert.
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