In chiusura della 36esima edizione di Benevento Città Spettacolo, nel weekend del 12 e 13 settembre al Teatro Grande, va in scena in anteprima nazionale per la regia di Luca De Fusco l’Orestea di Eschilo, unica Trilogia (Agamennone, Coefore, Eumenidi) a noi giunta dall’altissima tradizione del Teatro greco. Tre ore di spettacolo, più un intervallo da sessanta minuti, per tornare all’essenza più autentica della drammaturgia classica del V secolo a. C. Ossia, l’unione sinergica delle tre arti temporali, un modello di straordinaria intesa fra poesia, musica (canto leggermente intonato e ritmicamente scandito secondo la metrica quantitativa del verso) e danza (dei coreuti secondo lo schema triadico di Stesicoro), spesso sfiorato (pensiamo alle riflessioni della Camerata fiorentina alle origini dell’opera o alla riforma di Gluck e Calzabigi del secondo Settecento, e fino all’idea rivoluzionaria della drammaturgia wagneriana ispirata unitamente alla struttura teatrale di Bayreuth a quel riferimento) ma, in realtà, mai più centrata nella perfezione degli esiti messi a segno dai massimi autori di quel tempo antichissimo. Di qui il taglio registico dell’allestimento che, nato in coproduzione fra il Teatro Stabile di Napoli e lo Stabile di Catania, entro l’articolazione nelle due parti Agamennone e Coefore/Eumenidi, recupera anche la danza e va in scena con il seguente cast: Mariano Rigillo, Elisabetta Pozzi, Angela Pagano, Gaia Aprea, Claudio Di Palma, Giacinto Palmarini, Anna Teresa Rossini, Fabio Cocifoglia, Paolo Cresta, Dely De Maio, Francesca De Nicolais, Gianluca Musiu, Federica Sandrini, Paolo Serra, Dalal Suleiman, Enzo Turrin. Le coreografie e le musiche sono rispettivamente di Noa Wertheim della folgorante Compagnia Vertigo (sotto nella foto) e di Ran Bagno, entrambi israeliani. Le scene sono di Maurizio Balò, i costumi di Zaira De Vincentiiis, l’adattamento vocale di Paolo Coletta.
Cardini della storia, i figli Oreste ed Elettra (quest’ultima in Eschilo, rispetto all’omonima tragedia sofoclea o a quella bizzarra di Euripide, esce quasi subito di scena, al verso 584 della tragedia centrale), entrambi intenti a vendicare la morte del padre Agamennone per mano della madre Clitemnestra e del cugino del padre, Egisto, unico sopravvissuto al "fiero pasto" inferto da Atreo al fratello Tieste per averne concupito la moglie. Alle radici della vicenda di sangue familiare e vendetta stretta tra vittime ed assassini, c’è la saga dei Pelopidi e, di lì seguendo la discendenza maledetta, quella degli Atridi. Nella prima modulazione eschilea, in linea con l’impegno politico e religioso dell’autore, l’interesse è puntato sull’azione, sul senso del divino e sulla stirpe, con conseguente primo piano su colui che materialmente compie giustizia attraverso il matricidio: il protagonista è infatti Oreste mentre, Elettra, è specchio di un dolore immenso, più che personale, del palazzo e, appunto, dell’intera stirpe in cui “sangue chiama sangue”. In Sofocle sarebbe stata invece la donna a balzare in primo piano, scolpita nel fuoco dei suoi sentimenti mentre, in Euripide, in linea con uno stile in controtendenza polarizzato sulle grandi figure femminili, Elettra diventa figura più umana e borghese, dal dolore più che altro psicologico. I tre capolavori, fra loro diversissimi, confluiranno poi nel teatro musicale novecentesco, in bilico fra Espressionismo e Simbolismo, a firma del superbo binomio Hofmannsthal-Strauss, con quell’Elektra “quasi Cassandra” visionaria (mutuata appunto dal primo dei tre pannelli tragici di Eschilo), creatura selvaggia che, freudianamente, trascina la storia entro il dedalo sconvolto della sua psiche. Unica quanto inedita e significativa la via di uscita, la morte attraverso la danza, a sigillo dell’unione fra la menade arcaica e la donna isterica moderna.
In tale solco si comprendono bene le parole del regista: «L'Orestea viene spesso rappresentata attraverso uno solo dei suoi tre testi. Noi invece - dichiara in merito Luca De Fusco (nella foto sopra) - la presentiamo nella sua interezza. Per alcuni versi, quindi, uno spettacolo molto classico ma, in realtà, una messa in scena decisamente contemporanea, che va a rinnovare lo stile di teatro/video già realizzato in Vestire gli ignudi, Antigone, Antonio e Cleopatra, avvalendosi in egual formula della Vertigo Dance Company che contribuisce con le sue musiche e le sue danze ad uno spettacolo di teatro totale».
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