Sarà dedicata ad Aylan Kurdi, il bambino siriano di tre anni trovato morto sulla spiaggia di Ali Hoca Burnu, a Bodrum, la prima esecuzione assoluta dello Stabat Mater da Giovanni Sebastiano a Giovanni Battista composto da Roberto De Simone (sotto, nella foto di Luciano Romano) per il San Carlo, proposto in doppio appuntamento la scorsa primavera in omaggio alla Settimana Santa ma poi slittato in locandina e in data unica mercoledì 16 settembre, alle ore 18, con biglietti da 12 a 60 euro. A deciderne la dedica, di comune accordo, i vertici e il Maestro napoletano. Maestro il quale, nel corso della generale di fine marzo, non aveva ritenuto sufficiente il piano prove ritirando clamorosamente dalle scene sancarliane, seppur solo temporaneamente, il proprio lavoro.
In partitura, intanto, spicca la novità assoluta di una tipica reinvenzione desimoniana basata sulla semisconosciuta trascrizione autografa che il grande Bach fece dello Stabat Mater del nostro Pergolesi, conservata presso la Staatsbibliothek di Berlino, con numero di catalogo tematico BWV 1083. Uno Stabat che tuttavia, contrariamente alla propria natura formale d’origine, non è una Sequenza, bensì un Mottetto e il testo, tratto dal Salmo 51 (ossia il Miserere), non è in latino, ma in lingua tedesca. Eppure, al capolavoro scritto in punto di morte dal ventiseienne compositore originario di Jesi (ma di scuola partenopea) nel convento dei cappuccini a Pozzuoli, il massimo musicista del Barocco tedesco non avrebbe cambiato neppure una nota. Come si spiega? In merito, De Simone ha formulato un’ipotesi precisa: «Premesso il mancato incontro fra i due celebri compositori appartenuti a mondi musicali tanto distanti, la trascrizione tedesca – ritiene il Maestro secondo quanto dichiarato alla vigilia della “prima” poi saltata – va intesa quale vero e proprio atto di devozione fatto da Bach nei riguardi della melodia di Scuola napoletana. Cosa non strana se si pensa che, fra i maggiori lavori musicali del Settecento diffusi con successo in tutta Europa, ci fu soprattutto lo Stabat Mater» dal cui autografo, ad oggi custodito presso la ricchissima Biblioteca dell’Abbazia di Montecassino, furono tratte numerose copie manoscritte, quindi edizioni a stampa e, a seguire, parodie e revisioni, con esecuzioni frequenti soprattutto in Inghilterra e in Germania. «Tale trascrizione dall’incipit Tilge, Höchster, meine Sünden, sarebbe da intendere in pratica – aveva sottolineato il regista e compositore – come “un Bach che scopre Pergolesi". Un Bach che, maestro del temperamento e dell’armonia, si sarebbe rivelato pronto a rinunciare alla propria sapienza per l’intenso melos del compositore di formazione partenopea, forse cogliendone l’avveniristica scrittura non per ponti ma per salti. Stupefacente – prosegue nella sua acuta osservazione – è vedere come il linguaggio tedesco e bachiano riesca ad aderire perfettamente, persino nella rima, al tristico di Jacopone. È, questo, un passaggio fondamentale per l’intera storia della musica». Di qui, a seguire, il problema dell’aggancio con la contemporaneità, ossia in quale modo veicolarne al meglio il taglio e il significato al pubblico dei nostri giorni. Dunque come spiegarlo oggi? «L’unica via – aveva risposto – era la reinvenzione totale, e non un semplice arrangiamento, per poter agevolmente far percepire i piani di una contaminazione continua. È così che nella primavera dello scorso anno è nata la partitura del mio “Stabat”. Partitura di circa ottanta minuti (a fronte dei quaranta della trascrizione bachiana) dai tessuti fortemente differenziati, riferibili ai rispettivi poli di due compositori (si noti al termine la sospensione di un bicordo con due soli) di pari dignità e liberamente organizzati in virtù dell’assenza di indicazioni specifiche sull’autografo di Berlino». Ad oggi, la formula strumentale della rielaborazione si avvale dell’elaborazione pianistica di Pino Jodice, di un ben più nutrito gruppo di fisarmoniche rispetto alle tre predisposte in precedenza, affidato a Ivano Battiston, Mariostefano Pietrodarchi, Giuseppe Loiero, Giancarlo Palena, Luca Colantonio, Giuseppe Gualtieri, Giuliana Soscia (nella foto al lato) e dell’Orchestra del San
Carlo diretta da Maurizio Agostini. Quanto alle voci, in luogo dei due sopranisti previsti da Pergolesi (nella prassi comune poi sostituiti da un soprano e un mezzosoprano o contralto), nonché delle voci bianche usate con straordinario effetto epico da Bach, tre cori divisi in un gruppo classico (preparato da Marco Faelli), voci bianche e quartetto gospel composto (anche qui con variazioni rispetto alla formazione prevista in prima battuta) dal mezzosoprano-contralto Cheryl Porter, dal basso Darrell Hill, dal tenore Leslie Sackey e dal soprano Denise Elessa.
Tre gruppi vocali che, pur nella modernità assoluta di timbri ed impianto, alluderebbero assieme all’innesto del Miserere per la Settimana Santa a radici lontane, ossia alle « antiche tradizioni pasquali – conclude l'autore della Gatta Cenerentola e di tanti altri capolavori teatral-musicali – ancora oggi udibili nel Cilento». Dal senso di pietà e dolore di cui da sempre lo Stabat è emblema, qui a specchio non solo artistico ma umanitario dinanzi alla contemporaneità, nasce dunque l’idea di dedicarne l’esecuzione al tenero bimbo fotografato in un’immagine che ha gelato il mondo intero e pertanto, in apertura, una delle voci bianche del Coro curato da Stefania Rinaldi leggerà una poesia di Nazim Hikmet: La Bambina di Hiroshima, di cui a conclusione riportiamo il toccante testo.
“Apritemi sono io…
busso alla porta di tutte le scale
ma nessuno mi vede
perché i bambini morti nessuno riesce a vederli.
Sono di Hiroshima e là sono morta
tanti anni fa. Tanti anni passeranno.
Ne avevo sette, allora: anche adesso ne ho sette
perché i bambini morti non diventano grandi.
Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati,
avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro.
Un pugno di cenere, quella sono io
poi anche il vento ha disperso la cenere.
Apritemi; vi prego non per me
perché a me non occorre né il pane né il riso :
non chiedo neanche lo zucchero, io:
a un bambino bruciato come una foglia secca non serve.
Per piacere mettete una firma,
per favore, uomini di tutta la terra
firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini
e possano sempre mangiare lo zucchero".
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