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  • Paola De Simone

Delicatamente ritratta sullo sfondo pastello di una Parigi postindustriale vista da lontano, la piccola storia del gruppo bohèmienne meravigliosamente narrata su pentagramma da Giacomo Puccini a un passo dal Novecento, trova nel nuovo allestimento del giovane regista napoletano Francesco Saponaro e nelle interessanti voci chiamate a darvi forma tinte e significati di rara suggestione. Il teatro pieno anche alle repliche e i consensi elargiti ai diversi artisti ne sono stati, senz’altro, il sintomo più evidente. Ma lo spettacolo della nuova Bohème (sopra, nella foto di Francesco Squeglia, i protagonisti Erika Grimaldi e Gianluca Terranova) proposta per il San Carlo Opera Festival come secondo titolo e in alternanza con la Tosca, parimenti in nuovo allestimento ma di Jean Kalman, merita per sensibilità degli esiti sia drammaturgici che canori una lettura critica particolarmente attenta.

A fronte di una direzione musicale – nell’occasione affidata a Stefano Ranzani – complessivamente veloce e per lo più orientata a premiare lo smalto di superficie, la regia del quarantacinquenne Saponaro nella semplicità estrema dei mezzi scenici (assai efficaci a tal merito i fondali di Lino Fiorito, autore anche dei costumi, e le luci giocate sul chiaroscuro di Pasquale Mari) ha saputo entrare fra le piccole cose pucciniane e restituirne l’umanità dei gesti, la precarietà degli inganni tra giovinezza, malattia e morte, i legami in bilico tra vita e arte, amore e povertà. Una lettura che ha lavorato su contrasti interiori alla Čechov, sulle affinità d’elezione (tramite una pura pedana in pendenza) fra una qualunque soffitta parigina e uno scrostato tetto di Napoli, su spazi teatrali che limitano o accolgono l’equilibrio sottile tra la finzione drammatica e la realtà, così come ben ribadito al termine del primo Quadro dalla goliardica promenade di Marcello, Colline e Schaunard lungo il bordo del golfo mistico alle spalle di Ranzani, o dal livido finale proiettato verso un Teatro che assiste e accompagna Mimì nel suo ultimo e fino ad oggi inedito percorso funebre.

Quanto alle voci: Gianluca Terranova (nella foto a lato), meritevole in scena oltre il successo del suo Caruso in tv, è un Rodolfo vero e appassionato, come quel lungo bacio che dà a Mimì all’inizio del Quadro secondo. Sfodera tempra, timbro, disinvoltura tecnica e slanci melodici di rara genuinità, garantendo sin dal suo svettante esordio “Nei cieli bigi” consistenza al quel maschile pucciniano che, in genere, soccombe dinanzi alla forza eroica di tante straordinarie creature femminili in primo piano nel catalogo teatrale del compositore toscano. Al suo fianco e in bilanciato tandem canoro (contrariamente a quanto ascoltato con il troppo acerbo tenore del secondo cast, Matteo Lippi) c’è la Mimì di Erika Grimaldi (nella foto sotto), buon soprano dalla pasta vocale densa, non lontana dalla natura timbrica della grande Giulietta Simionato, ben salda nell’emissione come

nell'intonazione, espressiva e, soprattutto, superpucciniana. Ci piacerebbe sentirla nel ruolo di Butterfly, forse a lei ancor più congeniale. Bravi anche gli altri interpreti, il Colline del sempre ottimo Andrea Concetti alternatosi con Enrico Iori, l’intenso Schaunard di Biagio Pizzuti e l’altra coppia assegnata al Marcello di buon volume (una punta troppo drammatico) di Alessandro Luongo e alla Musetta, perfetta per stile e capriccio, di Anna Maria Sarra. Bene anche il Coro curato da Marco Faelli e ottima la prova del Coro di Voci Bianche preparato da Stefania Rinaldi. Si replica fino a sabato 25 luglio.

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