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Paola De Simone

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Postdatazione nell’era fascista e un interno della romana Sant’Andrea della Valle in stile Bausch da fumoso Cafè Muller, uno Scarpia che sniffa cocaina abbracciato a una coppia di escort, masse artistiche nel complesso in buona forma guidate sul podio da Jordi Bernàcer e un’efficacia sonora che ha potuto contare su un tris di voci d’alto grado: il soprano Fiorenza Cedolins con la sua Floria Tosca di indiscussa prestanza scenico-canora, il tenore Stefano La Colla (sotto, con la Cedolins, nella foto di Francesco Squeglia) per un Cavaradossi raro in termini di tecnica di emissione e cura dello stile, il baritono Sergey Murzaev quale antagonista di sicura forza ed efficacia. Quanto agli esiti, ha riscosso un successo vivissimo, per quantità di pubblico e sostanza dei consensi, la prima rappresentazione della Tosca di Puccini nel nuovo allestimento firmato Jean Kalman (foto di Francesco Squeglia), scelta in apertura del "San Carlo Opera Festival" edizione seconda e in scena al Lirico napoletano fino al pomeriggio del 24 luglio. Un successo pieno, nonostante un paio di inciampi: la piantana che non si è più retta dopo esser stata sfiorata da Tosca in fuga da Scarpia nell’atto II e, soprattutto, il black-out testuale, senza precedenti a nostra memoria, del tenore Stefano La Colla che, nell’attaccare al III Atto la sua romanza in assoluto più celebre, ha saltato a piè pari proprio l’incipit “E lucevan le stelle” per ripetere, ben due volte, il verso successivo “E olezzava la terra”. Ma, scivolato su quello, ha brillato su tutti, dalla sua prima all’ultima nota: tenore fra i più interessanti della sua generazione, diplomatosi al “Mascagni” di Livorno e perfezionatosi con Magda Olivero, Katia Ricciarelli, Luciana Serra e Carlo Meliciani, oggi in luminosa ascesa fra i più importanti teatri italiani (Arena di Verona, Parma Festival, Teatro Verdi di Busseto, Festival Puccini di Torre del Lago, Bellini di Catania, Verdi di Pisa, Valli di Reggio Emilia) e stranieri (Opernhaus di Lipsia, Festspielhaus und Festspiele di Baden Baden sotto la direzione di Simon Rattle, Deutsche Oper di Berlino e Bayerische Staatsoper di Monaco) cantando ruoli del repertorio verdiano (Ismaele, Radames, Alfredo Manrico, Macduff), pucciniano (Pinkerton, De Grieux, appunto Cavaradossi, Calaf, Chénier) e del Verismo italiano (Turiddu e Canio).

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La sua voce vanta una tinta, un metallo e una serietà di studio quasi d’altri tempi, poeticissima nel tornire le frasi musicali, sapiente nella cura dei rapporti fra parole e musica nelle sezioni cinetiche, nelle arie ricca di dinamiche e di colori. E forse per questo – qualcuno, magari, neanche se n’è accorto per la bellezza del suo canto – che nella circostanza gli si è condonata, e qui gli si perdona, l’incredibile défaillance. Per il resto, bello il Te Deum, la tensione musicale garantita da Bernàcer, gli interventi dei diversi comprimari e l’apporto di alcune singole prime parti in buca, quali l’arpista Antonella Valenti, l’oboista ospite Hernan Garreffa, il clarinettista Luca Sartori, il fagottista Mauro Russo, il violoncellista ospite Amedeo Cicchese.

Si loda infine la modernità del coup de théâtre (un leggerissimo velo nero lasciato cadere dall’alto dinanzi alla protagonista in posa statuaria) andato a reinventare il lancio sucida di Tosca dagli spalti di Castel Sant’Angelo, viceversa non si premia la scelta di affidare a una voce non bianca, bensì adulta (il pur valido mezzosoprano Giuseppina Acierno), il bel canto popolare del pastorello che accompagna da oltre un secolo l’alba romana straordinariamente dipinta in pentagramma da Puccini.

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