top of page
  • Paola De Simone

Uno spettacolo che puntualmente affascina e sorprende, pur tornando ormai ogni anno per il Natale secondo una prassi consolidata e condivisa fra i tanti cartelloni dei migliori palcoscenici al mondo. Immutati infatti anche stavolta nel tempo sia l'incanto che la magia dello Schiaccianoci di Čajkovskij, titolo del Romanticismo musicale e coreutico fra i più amati dal pubblico di ogni età proposto dal 23 al 30 dicembre al Teatro San Carlo per quattro giorni in staffetta a doppia recita (pomeridiana e serale) con diverso cast ma stessa Orchestra, in scena con alcune sostanziali mutazioni accanto a nuovi ospiti di punta in brillante sinergia con la Compagnia di Balletto della Fondazione. La versione proposta nell'occasione, inedita per Napoli, era quella realizzata lo scorso anno per il Massimo di Palermo a firma dell'étoile nonché vertice del Corpo di Ballo sancarliano, Giuseppe Picone (in apertura, nelle foto di Francesco Squeglia, lo spettacolo con le due coppie rispettivamente formate da Claudia D'Antonio con Salvatore Manzo e dalle due stelle del Royal Ballet di Londra, Akane Takada e Vadim Muntagirovda), sottilmente onirica e di raffinata eleganza fiabesca, sulla base del fortunato allestimento affidato alle sempre bellissime scene di Nicola Rubertelli, ai deliziosi costumi di Giusi Giustino (meravigliosi quelli "storici" dei fiori) e alle luci di Bruno Ciulli. Fra i cambiamenti esterni, un nuovo albero di Natale, una battaglia con il re dei topi disegnata con mano più lieve, una nuvola meccanica in stile opera seria metastasiana che trasporta Clara e lo Schiaccianoci nel mondo della Fata Confetto, più alcuni pannelli scenici utili a siglare le danze di carattere. In termini meno espliciti ma parimenti in significativa evidenza, la scissione dei ruoli principali, la semplificazione delle linee in contrappunto nelle danze d'assieme, la reminiscenza meta-coreutica di alcuni "must" della letteratura interpretata dallo stesso Picone così come riconoscibile in una danza spagnola di stile Don Chisciotte, una danza araba non lontana dall'elegante esotismo della Bayadère e un Valzer dei fiori vagamente affine alle atmosfere della Bella addormentata così come ci ha ricordato la rosa del pannello-stemma. Il tutto, ben rimarcando la duplicità dei piani drammaturgico-visivi, ossia la realtà di Clara e il suo mondo fantastico giocato intorno alla figura cardine della Fata Confetto.

Quindi separandone e affidandone i rispettivi ruoli ad una bravissima Claudia D'Antonio, Clara dalla gestualità fresca ed ingenua, delicatamente sensibile nel distillare un intero ventaglio di espressioni, stupori, paure ed emozioni mentre, dall'altra, svettava una Fata Confetto di perfezione sublime, ritagliata con tecnica impressionante dall'étoile giapponese Akane Takada: un miracolo di leggerezza e precisione, velocità (gli occhi hanno faticato a seguirne i vertiginosi quanto molteplici giri) e purezza, ma non meno interessante per intensità, modernità e bellezza. Analogamente, sul fronte maschile, due gli interpreti per lo Schiaccianoci e la sua metamorfosi in Principe, il primo affidato ad un sempre più convincente per fisicità e spessore interpretativo al tersicoreo Salvatore Manzo mentre, per il secondo, veniva scelto un altro primo ballerino del Royal Ballet londinese, Vadim Muntagirov, nobile e prestante, straordinario nei suoi ampi salti e giri en manège così come ideale nella serrata sinergia al fianco della partner artistica Takada.

A completare il cast, l'ottimo Edmondo Tucci per un agile e misterioso Drosselmeyer alla dottor Coppelius, versione Bonino-Petit, una perfetta Anna Chiara Amirante nel ruolo della Regina delle nevi e una parimenti notevolissima Luisa Ieluzzi per la Principessa dei fiori. Fra le danze di carattere si lodano, almeno, l'Arlecchino di Carlo De Martino, Annalisa Casillo con Francesco Lorusso per la minuziosa danza cinese e, per la Pastorale, Candida Sorrentino con Sara Sancamillo e Danilo Notaro oltre agli atletici interpreti della qui giocosa danza russa capitanata da Ertugrel Gjoni. Nel complesso buona la prova del resto della Compagnia, degli allievi della Scuola di Ballo e del Coro di voci bianche della Fondazione. Quanto all'Orchestra, diretta con saldo mestiere ma senza grandi slanci fra le dinamiche da Mikhail Agrest, diciamo che la doppia recita nel giro di poche ore (la recensione fa riferimento allo spettacolo del 23 dicembre alle ore 21) non ha giovato all'organico e in special modo agli ottoni, praticamente cotti a partire dall'intonazione, pur ferma restando la prova superlativa della prima arpa (Antonella Valenti) e del primo fagotto (Mauro Russo).

Per il resto, grande merito ad un'alternanza di ruoli in palcoscenico mirata a garantire luce, oltre che entusiasmo e allenamento, a tutti gli elementi della Compagnia di Ballo del Lirico napoletano che ritroveremo di nuovo in campo, a marzo, con Giselle.

Si vieta la riproduzione dell'articolo e di ogni altra sua parte

In primo piano
RSS Feed
  • Facebook Long Shadow
  • Google+ Social Icon
Recenti
bottom of page