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  • Paola De Simone

"Per non avere qui né poeta né libri - scriveva Giovanni Paisiello da Pietroburgo all'amico e Consigliere del Commercio alla corte di Napoli, Ferdinando Galiani, nel settembre dell'anno 1781 e dunque dal cuore dell'incarico (1776-1784) di maestro di cappella al servizio della zarina Caterina II la Grande - sono stato costretto di mettere in musica la 'Serva padrona', fatta tanti anni fa dal Pergolesi, come lei sa; ed andò in scena il dì trenta dello scorso, con un successo mirabile, per il quale Sua Maestà Imperiale l'imperatrice ha fatto un presente alli due attori, cioè alla donna che ha fatto la parte di Serpina eccellentemente, gli ha donato un fiore di testa di brillanti; all'uomo, che ha fatto la parte di Uberto (che con difficultà si può far meglio) gli ha donato un anello di brillanti, e a me una scatola con un contorno di brillanti. [...] La detta opera la spedirò subito [...] Unito alla detta gli spedirò ancora il libretto, nel quale si troverà la lettera dedicatoria che ho fatta a S. M. I. per mia discolpa, acciò il pubblico non mi taccia per un ardito". Uno stralcio di pugno del compositore Paisiello assai utile per comprendere quanto sia stato egli stesso e sin dal principio consapevole dell'azzardo di misurarsi con il modello assoluto dell'Intermezzo pergolesiano. Il che, di rinvio, riguarda anche la difficoltà e la sensibile abilità con cui si va oggi a riproporre il cammeo librettistico di Gennarantonio Federico nella metamorfosi firmata dal Paisiello che, rispetto al lavoro andato per la prima volta in scena nel 1733 al Teatro San Bartolomeo di Napoli fra gli atti dell'opera seria Il prigionier superbo, ne reinventava la musica secondo uno stile di fine Settecento post riforma gluckiana e soprattutto attento alla più matura svolta impressa al genere comico nel 1760 dalla geniale Cecchina di Goldoni-Piccinni.

Andandone tra l'altro a rimpolpare l'organico con un significativo impiego di sostegno nonché concertante dei fiati, quindi aggiungendovi una nuova aria per la protagonista e due duetti in linea con il crescente interesse per i pezzi d'assieme ma, soprattutto, rileggendo in prospettiva sentimentale e in chiave borghese la bidimensionale Serpina pergolesiana.

Vale a dire trasformando la Serva padrona, Intermezzo per antonomasia, in una micro-opera buffa di terza generazione musicale partenopea, sia pur nel rispetto della vicenda (anche se con un finale diciamo pure realisticamente "aperto") e della connotazione strutturale propria del genere affidata a tre soli personaggi (un soprano lirico-leggero, un basso e un mimo), di cui uno muto. Ebbene, a proporre con pieno successo e per la prima volta nella terra del compositore Paisiello l'efficace remake creato per la corte pietroburghese, tra l'altro lodevolmente restituendone sul fronte stilistico-espressivo l'esatta cifra musicale a fronte di un aggiornamento di regia, scene e costumi (firmati da Chicco Passaro) sul modello delle reinvenzioni di Davide Livermore, dunque entro una cornice American Graffiti anni '50, è stata la coproduzione nata dalla felice sinergia del XV Giovanni Paisiello Festival di Taranto dell’Associazione Amici della Musica “Arcangelo Speranza”, per la direzione di Lorenzo Mattei, docente e musicologo di pregio raro, con il Florilegium Vocis e l’Orchestra barocca Santa Teresa dei Maschi. Triplice infatti l'esecuzione (al MuDi di Taranto il 12 e 13 settembre per poi passare nel capoluogo la sera del 16, in Santa Teresa dei Maschi) su strumenti storici intonati a 415. Esecuzione particolarmente apprezzata in virtù della puntuale quanto assai sensibile direzione musicale al cembalo di Sabino Manzo, musicista di salda esperienza, guida del Florilegium Vocis, compositore di partiture sacre, attualmente docente di Armonia e Direzione di Coro presso lʼIstituto Diocesano di Musica Sacra di Bari.

A reggere quindi con piena padronanza l'intera impalcatura vocale, fra recitativi, arie e duetti in scena, l'Uberto dell'ottimo basso Giuseppe Naviglio accanto alla Serpina di Valeria La Grotta (nella foto d'apertura), soprano lirico puro e voce in meritata ascesa, ideale per l'intero Settecento e, in special modo, per il teatro musicale di tradizione italiana firmato da Mozart. A nostro avviso, voce d'ultima generazione fra le più interessanti per la ricca quanto lucente sonorità del timbro e l'intelligente articolazione del fraseggio, unita a una ben vivace prestanza scenica. Esemplare, in tal senso, il suo dolcissimo cantabile fra tempra gluckiana e proiezione mozartiana nella toccante metamorfosi paisielliana dell'aria lacrimevole "A Serpina penserete". A completare il cast, il Vespone del giovanissimo Gabriele Salonne.

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