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  • Paola De Simone

Di superba perfezione classica quanto di attualità estrema, nella forma coreutica così come nella forza dei contenuti su un maltrattamento delle donne che, allora come ora, esplode in assurda follia femminicida. L’Otello del coreografo romano Fabrizio Monteverde, balletto riproposto al San Carlo in doppio appuntamento per inaugurare l’Autunno Danza 2015 e, questa volta, dall’esordio in febbraio al Teatro di Corte passato sul più ampio palcoscenico del Lirico, è un lavoro che merita già solo per tali premesse grande attenzione. Per poi inequivocabilmente svettare, alla luce degli esiti confermati in entrambe le occasioni partenopee con le straordinarie coppie Perez-Toromani (Otello-Desdemona, sopra nella foto di Francesco Squeglia) e Macario-Veronetti (Jago-Emilia), fra gli spettacoli più belli prodotti dalla danza italiana dei nostri giorni.

Vibrante, tecnicamente difficile, spesso spericolato ma sempre linguisticamente esatto, di rara sensibilità drammaturgica (in vetta, in special modo, la modernità e l’intensità dei passi a due dei protagonisti) entro la triangolazione espressiva che scandaglia e lega in un solo respiro l’istinto, il gesto e la musica: l’Otello di Monteverde, nato per il Balletto di Toscana quale tassello centrale della trilogia d’ispirazione shakespeariana (Giulietta e Romeo del 1989, appunto Otello del 1994 e La tempesta del 1996), quindi ampiamente applaudito nel 2009 con il Balletto di Roma (nella foto sotto), continua in sostanza a conquistare palchi e platea, attraverso la qualità, altissima, del rapporto in sinergia fra significato-significante e il suo affondo giù nelle fibre di un eros al confine ambiguo tra passione e possesso, violenza e delitto, amore diverso e fisicità fetish.

Al centro, più che le vicende di una trama pur ben scolpita attraverso la scelta di alcuni snodi fondamentali del dramma, si stagliano le emozioni, le pulsioni inconsce, l’eterna contrapposizione se non l’ambiguità fra il maschile e il femminile, fra il bene e il male intorno a un’umanità spaccata, fra dinamiche relazionali e ruoli cangianti. Sullo sfondo, una banchina che evoca il crocevia di un porto qualunque, zona franca al limite di un mare simbolo della passione ingovernabile di ogni essere umano, e le avvolgenti (nella sala sancarliana sarebbe stato tuttavia necessario un po' di volume in più) accensioni ritmico-sonore di un efficacissimo mosaico di partiture sinfoniche o da camera del compositore Antonín Dvořák selezionate a partire da un brano incantevole che forse neanche in tanti conoscono - l’Ouverture Othello op. 93 - al quale si accostano le caratteristiche Danze slave op. 46 e op. 72 o la Polka dalla Suite céca op. 39, gemme cameristiche come il Trio in fa minore con pianoforte op. 65 e il Quartetto in fa maggiore per archi “Americano”, rarità come “La calma del bosco” op. 68 per violoncello e orchestra o il più noto Karneval op. 92. Applauditissimi, meritatamente, tutti gli interpreti: José Perez, Otello vero e ideale per plasticità e prestanza; Anbeta Toromani, Desdemona scolpita ad arte unendo tecnica adamantina e sensualità sottile; Alessandro Macario con il suo Jago di grande intelligenza e Alessandra Veronetti, da sempre apprezzata nel repertorio più moderno, per un’Emilia impeccabile. Bravo anche Carlo De Martino per Cassio e ottimo il lavoro fatto dalla Compagnia della Fondazione (in basso nelle foto di Francesco Squeglia) preparata da Lienz Chang.

Prossimo spettacolo martedì 13 (si replica il 14) con il Divertimento Spanish Dance&Concert del coreografo Lienz Chang più l’atto unico della Carmen Suite firmata da Alberto Alonso nella ripresa di Sonia Calero. Danzano nei ruoli dei protagonisti le stelle Svetlana Zakharova (Carmen), Denis Rodkin (Don José), Mikhail Lobukhin (Escamillo) e due punte di diamante della Compagnia della Fondazione (Edmondo Tucci per Zuniga e Roberta De Intinis per Destino). Corpo di Ballo e Orchestra del San Carlo che, nell’occasione, sarà diretta dall’ottimo Alexei Baklan.

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