top of page

Introduzione

 

Patrimonio di inestimabile valore, la Biblioteca del Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli con i suoi preziosi manoscritti, le pregiatissime stampe, la rilevante quadreria e l’eccezionale raccolta di strumenti musicali antichi e di cimeli, si colloca tra le più ricche e importanti biblioteche musicali del mondo.

Accanto alle sue ricercatissime collezioni musicali e documentarie, di altissimo interesse per lo studio dell’arte italiana del Settecento e dell’Ottocento e, soprattutto, della gloriosa Scuola Musicale napoletana, si conservano alcuni interessantissimi fondi non del tutto estranei alla carta pentagrammata i quali, pur suscitando in passato l’interesse degli studiosi, non sono stati finora tenuti nella giusta considerazione e meriterebbero l’attenzione degli specialisti.

È il caso della collezione Guillaume, oggetto della presente Mostra e del Catalogo, una straordinaria raccolta di disegni inediti di costumi teatrali ottocenteschi che documentano in maniera rilevante e suggestiva un settore affascinante e tutt’altro che trascurabile dello spettacolo operistico durante la grande stagione del melodramma italiano.  La collezione, costituita da poco più di ottomiladuecento figurini, fornisce una preziosa testimonianza iconografica dei costumi realizzati per le rappresentazione di opere (241 titoli) e balli (208) nei teatri di Napoli, e soprattutto al San Carlo sul quale in quel tempo era fissata l’attenzione di tutte le capitali della musica, dal 1824 (Sansone di Francesco Basily) al 1880 (Boccacciodi Franz Suppè). La parte più cospicua della raccolta , che per quantità ha riscontro soltanto in quella degli archivi dell’Opéra di Parigi, è composta da disegni a inchiostro variamente colorati ad acquerello, o ad acquerello e tempera. Non sono molti gli schizzi non colorati, a matita o ad inchiostro o ad entrambi su carta bianca, azzurrina o da ricalco (Danao re d’Argo di Giuseppe Persiani. Ivanhoe di Giovanni Pacini, Marfa di Carlo Coccia, opere tutte rappresentate nel ’35, Don Carlo di Giuseppe Verdi del ’71). La stessa tecnica risulta utilizzata pure per i costumi dei balli l’Assedio di Negroponte del coreografo Antonio Monticini e Fede di Federico Fusco, andati in scena al San Carlo rispettivamente nel ’34 e nel ’67. Una piccola parte della collezione è costituita dalle litografie colorate che, pubblicate nell’editoria illustrata dell’epoca (Maison Martinet, Ricordi, Lucca), testimoniano la non trascurabile influenza dei modelli stampati a Parigi e a Milano sulla realizzazione dei costumi (Gli arabi nelle Gallie e Furio Camillo di Giovanni Pacini, Il colonnello di Luigi Ricci, i balli Mano e Cuore, La Mascotta, Il pirata).  

Quasi tutti i disegni sono riuniti in fascicoli – non sono molti quelli prodotti su fogli sciolti o su tavola unica – sui quali compaiono i titoli delle opere e dei balli e, spesso, anche la data e il luogo della rappresentazione. Alcune serie di figurini, infine, si trovano ordinate e incollate direttamente alla fine dei relativi libretti stampati per l’occasione. I fascicoli variano da un minimo di 3 figurini (Lara di Hector Ruolz del ’35, Il figlio del signor padre di Francesco Zanetti del ’39) a un massimo di 89 disegni (Olga di Cracovia, ballo di Giovanni Briol del ‘41) e contengono, oltre ai nomi dei personaggi e degli interpreti, interessanti appunti con le indicazioni dei colori, dei tessuti e dei materiali da adoperarsi per la realizzazione dei costumi. Molti figurini, inoltre, portano il visto di approvazione dei vari funzionari e delegati preposti al controllo (Serracapriola, Bechi, Niccolini, Colombo, il marchese di Cesa e il marchese Verdini). Particolarmente significative risultano le rigorose osservazioni censorie segnate in calce da parte dei vari soprintendenti del San Carlo (il principe di San Giorgio, il duca di Laurino, il duca di Satriano, il marchese Luigi Imperiali) che rivelano chiaramente a quali gravosi condizionamenti portassero le tensioni politiche e sociali di quegli anni: «approvato ma si badi che le righe degli abiti non siano tricolori», «approvato con la gonna lunga a termini di regolamento», «si badi che sia questo color giallo, non comparisca color carne» eccetera.

Si tratta dunque di una vasta documentazione che, oltre all’indagine sull’evolversi del gusto e dello stile teatrale della messa in scena ottocentesca, è testimone spesso, con le sue preziose annotazioni, della ricerca di verosimiglianza nella ricostruzione dell’ambientazione storica del melodramma e della prassi da seguire, talvolta, per accondiscendere alle esigenze divistiche degli interpreti di maggior rango.

La collezione, conservata fino ad allora in forma privata da Carlo Guillaume, per molti anni Direttore del Vestiario del Teatro San Carlo, fu acquistata dal Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” il 30 giugno 1896 per la somma di duecento lire su proposta del Bibliotecario Rocco Pagliara, luminosa figura di critico eminente, poeta e librettista, fine intenditore e studioso d’arte oltre che raffinato collezionista, il quale nel 1889 era succeduto a Francesco Florimo nella Direzione della Biblioteca.

Una parte rilevante della raccolta è costituita dai figurini di Filippo Del Buono, artista assai prolifico che, dopo un breve periodo di autentica originalità espressiva documentata soprattutto in alcune “prime” sancarliane di Saverio Mercadante (Elena da Feltre del ‘38, Orazi e Curiazi del ’46), Gaetano Donizetti (Caterina Cornaro, del ‘44) e Giuseppe Verdi (Alzira del ’45, Luisa Miller del ‘49), produsse un incalcolabile numero di disegni replicati meccanicamente scaturiti, forse, da un’intima noia, da una smarrita sensibilità teatrale (a lui si riferisce il maggior numero dei figurini). Meno numerosi ma sicuramente frutto di una nitida e ordinata fantasia nel loro stile elegante sono invece gli splendidi acquerelli di Felice Cerrone, tra le maestranze del San Carlo come inventore dei fuochi. Artista di ottimo livello, particolarmente attento ai fermenti delle nuove tendenze estetiche, il Cerrone manifesta sempre un proprio personalissimo modulo creativo rivolto alla costante ricerca di effetti di vivace caratterizzazione spettacolare raggiungendo risultati spesso di incontestabile validità e dignità artistica (Donna Caritea di Saverio Mercadante, Gianni da Calais di Gaetano Donizetti, Debora e Sisara di Pietro Alessandro Guglielmi, Ulisse in Itaca di Luigi Ricci, opere rappresentate tutte nel ’28, Roberto Devereux di Gaetano Donizetti e il ballo Ettore Fieramosca del coreografo Salvatore Taglioni del ’37).  Di pregevole fattura sono anche i disegni prodotti per alcune opere rappresentate al San Carlo tra il ’24 e il ’27 (Sansone di Francesco Basily, L’ultimo giorno di Pompei, Niobe e Margherita regina d’Inghilterra di Giovanni Pacini, Solitario ed Elodia di Stefano Pavesi, Alahor in Granata di Gaetano Donizetti, La dama bianca di François AdrienBoieldieu). Questi figurini, però, che documentano decisamente la permanenza della tradizione classicista dei loro inventori, sono di difficile attribuzione. Sulla base delle indicazioni fornite dai libretti relativi a quelle rappresentazioni, gli “inventori degli abiti” dovrebbero essere Tommaso Novi (per quelli da uomo) e Filippo Giovinetti (per quelli da donna). Orbene, non escludendo del tutto la possibilità che dei due artisti il Novi sia intervenuto talvolta nella progettazione dei costumi per la presenza della sua firma su alcuni figurini, si deve ritenere che i due, in qualità di capisarti del San Carlo, si siano limitati alla semplice realizzazione degli abiti disegnati da qualche figurinista non menzionato nei documenti dell’epoca come lo stesso Cerrone, Francesco Catozzi i cui disegni sono da collocare cronologicamente tra i primissimi esempi a noi noti di questa produzione e, soprattutto, Giacomo Pregliasco artista poliedrico di indubbio valore per molti anni attivo al Regio di Torino e alla Scala di Milano. Al San Carlo, infatti, dove lavorò con solerte impegno dal ’17 (Il Sogno di Partenope di Simone Mayr, Aganadeca di Carlo Saccenti) al ’20 (ballo Otranto liberata del coreografo Salvatore Taglioni) il Pregliasco dimostrò ampiamente tutta la sua versatilità (ebbe anche, come decoratore, un ruolo molto importante nella ricostruzione del teatro stesso) ed è assai probabile, quindi, riconoscendo in alcuni casi la sua inconfondibile preziosa grafia, che abbia disegnato i costumi di alcune opere realizzati poi dal Novi e dal Giovinetti, se proprio si vuol scartare l’ipotesi non tanto remota che questi ultimi disponessero di un repertorio di disegni dell’artista torinese al quale attingevano via via che se ne presentava l’occasione o la necessità.

Completano la raccolta, infine, i figurini del pittore Giustino de Giacomo che, tutti prodotti su fogli sciolti dalle dimensioni considerevoli, si fanno notare per la freschezza e la delicatezza dei particolari (Selvaggia di Ernesto Viceconte del ’72, Aida di Giuseppe Verdi del ’73, Il menestrello di Giuseppe Filiasi dell’’80) e quelli disegnati da Edoardo Dalbono per la Figlia del diavolo di Nicola d’Arienzo rappresentata al Bellini nel ’79.   

La collezione Guillaume della Biblioteca del Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli, dunque, rappresenta indubbiamente, per il numero e la qualità dei figurini, una fonte di primario interesse per la storia del costume teatrale dell’Ottocento relativo al melodramma e al ballo permettendo una conoscenza adeguata di alcuni meccanismi produttivi dell’epoca soprattutto per quel che riguarda la parte visiva dello spettacolo. Essa inoltre assume una rilevanza maggiore se messa opportunamente in relazione con la ricca e preziosa raccolta di libretti d’opera della Biblioteca. La prima arricchisce e completa la seconda; dall’una e dall’altra potranno derivare significativi contributi allo studio della messa in scena ottocentesca.

La selezione dei cento esemplari esposti tra singoli figurini e tavole è stata effettuata, dopo accurata disamina dell’intero corpus della raccolta Guillaume, pensando ad un itinerario in quattro sezioni (Opere, Balli, Curiosità e Tavole uniche) mirato ad illustrare, in chiave storico-stilistica ed entro il duplice spettro dell’arte grafica e musical-coreutica, i principali tasselli della particolarmente fervida produzione ottocentesca messa a segno tra il 1824 e il 1880 sui principali palcoscenici di Napoli. Tasselli individuabili nei tanti nomi dei compositori (da Giovanni Pacini, Francesco Basily, Saverio Mercadante, Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, Giacomo Meyerbeer e Giuseppe Verdi a Paolo Serrao, Enrico Petrella), coreografi (Salvatore Taglioni in primis seguito dai non meno prolifici Giovanni Briol, Giuseppe Rota, Filippo Izzo, Federico Fusco, Ferdinando Gioja oltre alla celebre terna che firma Giselle, il Petipà di Paquita) e interpreti (le divine del belcanto Adelaide Tosi, Giuditta Pasta, il basso Luigi Labalche, Giorgio Ronconi, Maria Taglioni, Rosina Penco, Giovanni Basadonna, Giuseppina Ronzi–de Begnis, Marco Arati e una giovanissima Giuseppina Strepponiaccanto ai ballerini Gennaro Bolognetti, Giovanni Pingitore, Leopoldo de Novellis, Luisa Colombon-Briol, Carolina Altieri Craveris, Angela Gonzales, Jossine Levasseur, Giovanna Adamoli, Raffaella Santalicante, Luisa Taglioni-Fuchs, Marianna Danese-Izzo) ritenuti maggiormente significativi alla luce dell’arco storico in oggetto. Nonché attraverso i titoli - dalle “prime” assolute d’opera (Sansone, L’ultimo giorno di Pompei, Niobe, L’esule di Roma, Roberto Devereux, I Gualderano, Saffo, Alzira, Cantata, Pergolesi, Bianca Orsini) e di balletto (Amore e Psiche, Ettore Fieramosca, Furio Camillo, I viaggi di Gulliver, Il trionfo d’amore, Shariar ossia Le mille e una notte, Olfa, Anacreonte, Isaura ossia La protetta delle Fate, Elzebel, Masaniello, Miranda ossia La figlia dell’inferno, Elena d’Alba) alle non meno importanti versioni napoletane delle opere verdiane - e le tematiche (storiche, mitologiche, di ispirazione letteraria o di pura fantasia) utili a monitorare taglio e ventaglio dei soggetti drammatici o comici all’epoca privilegiati sia per i libretti d’opera che di ballo, compresi i limiti imposti dalla severissima censura borbonica, soprattutto fra gli ultimi anni Trenta e Cinquanta del secolo diciannovesimo. Particolare attenzione, infine, si è posta nella scelta dei figurini che attestassero al meglio la cifra creativa e la realizzazione grafica dei diversi figurinisti accanto alla presenza, generalmente in calce se non in veri e propri testi o lettere allegate, di preziose annotazioni autografe di censori, impresari, librettisti, coreografi e interpreti – o, nell’unico caso del ballo Naama di Taglioni, di un campione di vero tulle per le ali dei corifei “calabroni” - per l’attuale ricerca fonte complementare, quanto parimenti testimonia di primario valore documentale, accanto alla concreta immagine del costume pensato e disegnato per andare in scena.        

 

                                                                                                  Francesco Melisi  

Paola De Simone

bottom of page